Inaugurazione Anno Giudiziario 2024

Signor Presidente della Corte d’Appello,

Signor Procuratore Generale della Repubblica,

Signor Presidente del Tribunale,

Signori Giudici e Signori Giudici Onorari,

Signori Presidenti dei Consigli degli Ordini degli Avvocati del Distretto,

Autorità religiose, civili e militari,

Colleghe e Colleghi,

Istituzioni e cittadini,

Presenti tutti.

Porgo a Voi tutti il saluto della Sezione genovese dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del suo rituale discorso di fine anno ha dedicato ampio spazio ai giovani e ha ben espresso la contraddizione di un’Italia che, se da un lato disconosce le attese delle nuove generazioni e le fa sentire “fuori posto”, dall’altro “ha bisogno dei giovani”, “delle loro speranze” e della “loro capacità di cogliere il nuovo”.

Non c’è dubbio che la Giovane Avvocatura abbia, oggi, bisogno di una rinnovata speranza.

Riconsegnare ai giovani avvocati questa speranza significa prima di tutto restituire centralità e dignità alla loro professione, alla funzione dell’Avvocato: l’Avvocato non è un “utente” del sistema giustizia, ma è parte integrante della giustizia e del suo ordinamento, quale propulsore di tale sistema ed estrinsecazione concreta del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Costituzione. Coinvolgere l’Avvocatura nei consigli giudiziari consentendole il diritto di voto – nella piena attuazione dei principi di cui all’art. 3 della legge delega del 17 giugno 2022, n. 71 – è uno dei numerosi passi che devono essere compiuti in questa direzione.

Riconsegnare ai giovani avvocati una rinnovata speranza significa dar loro fiducia: significa, in particolare, abbattere le “barriere anagrafiche” che condizionano il pieno e libero esercizio della professione, quali, ad esempio, il limite dei due anni di anzianità per essere iscritti nell’elenco degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato. Significa, soprattutto, far rispettare il principio di rotazione nell’assegnazione degli incarichi da parte degli Uffici giudiziari, ai quali chiediamo di vigilare costantemente sulla sua applicazione, assicurandone la trasparenza, l’effettività e, appunto, la neutralità rispetto al requisito prettamente anagrafico e rispetto ai rapporti di fiducia che inducono tanti magistrati a scegliere gli stessi ausiliari, quasi mai giovani. Perché non pensare, a tal proposito, ad un sistema automatizzato di assegnazione degli incarichi, analogo a quello applicato con riferimento alle difese d’ufficio, così da garantire una volta per tutte le dovute pari opportunità?

Riconsegnare ai giovani avvocati una rinnovata speranza significa riconoscere la dignità anche economica della professione, verificando l’effettiva applicazione, in ogni ufficio giudiziario, dei parametri di liquidazione giudiziale previsti dal Decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 2014 e dando piena attuazione al principio dell’equo compenso, al quale tutte le Pubbliche Amministrazioni sono tenute. Ciò anche e soprattutto con riferimento alla liquidazione del compenso degli avvocati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, il cui ammontare – anche in considerazione dei tempi di liquidazione e di pagamento – spesso non costituisce compenso adeguato e proporzionato alla quantità ed alla qualità del lavoro concretamente svolto dall’avvocato.

Riconsegnare ai giovani avvocati una rinnovata speranza significa dare loro soluzioni che rendano effettivamente possibile conciliare gli impegni della professione con le esigenze della famiglia.

Per farlo occorre anche tutelare gli avvocati dalle sopravvenienze che la famiglia comporta, non solo con riferimento ai figli ma anche con riferimento a familiari con disabilità o patologie, sopravvenienze dalle quali l’avvocato è spesso non adeguatamente salvaguardato. Non si dimentichi che, come emerso chiaramente anche dai rapporti Censis sullo stato dell’Avvocatura, è con la maternità che inizia il cd. “gender gap” ed è proprio in quel momento che una Collega su tre decide di abbandonare la professione, spesso indirizzandosi verso il pubblico impiego e verso quelle maggiori tutele che tale soluzione offre.

In presenza di un sistema di welfare inidoneo a tutelare adeguatamente le esigenze famigliari dell’avvocato, è, quindi, necessario dare continuità al lavoro che AIGA conduce per il riconoscimento di un “legittimo impedimento per malattia grave e/o per esigenze familiari“, limitando il più possibile la discrezionalità nel riconoscimento di tale diritto. In attesa di un intervento legislativo sul punto, chiediamo anche alla Magistratura una maggiore sensibilità in tal senso, ricordando sempre che un avvocato non è solo un operatore di giustizia, ma prima di tutto una persona, un figlio o una figlia, un padre o una madre, un compagno o una compagna di vita.

L’eliminazione delle irragionevoli diversità non è esigenza che attiene esclusivamente alle barriere anagrafiche o alla genitorialità, ma riguarda anche la realtà giudiziaria nazionale.

Le diverse prassi e i diversi protocolli adottati nei diversi Fori – ad esempio circa il procedimento e i documenti occorrenti ad accedere al beneficio del patrocinio a spese dello stato o circa le modalità di tenuta delle udienze – o, ancora, i diversi tempi decisionali dei processi, segnano i tratti di un pericoloso federalismo giudiziario la cui attitudine disgregativa e le cui incertezze devono essere superate quanto prima mediante una regolamentazione unitaria.

Irragionevole pare, ugualmente, la coesistenza di processi telematici e piattaforme telematiche diverse per ogni diverso ambito giurisdizionale. L’AIGA chiede da tempo la creazione di una piattaforma unica nazionale che preveda strumenti agevoli e diretti di caricamento degli atti, superando così quelle evitabili incertezze che finiscono per gravare sull’avvocato: occorre far sì che il processo telematico resti uno strumento di reale ausilio nell’attività forense e non un pericoloso nemico ostativo al sereno esercizio del diritto di difesa.

Riprendendo nuovamente le parole del Presidente Mattarella, lo stesso sottolineava nel suo discorso che “ci troviamo in una stagione che presenta tanti motivi di allarme ma anche un insieme di nuove opportunità”.

Con questo stesso spirito, critico ma al contempo costruttivo, si è mossa la Giovane Avvocatura nell’affrontare, nel corso dell’anno appena trascorso, l’attuazione delle Riforma Cartabia, tanto in materia civile quanto in materia penale. Riforme che hanno inevitabilmente rappresentato, per la classe forense tutta, un punto di non ritorno. La porta di ingresso nel nuovo disegno che l’Europa ha chiesto al nostro Paese in materia giustizia.

Giustizia ritardata, giustizia negata. Su questo principio, fatto proprio dall’attuale Governo e da quelli precedenti, le riforme si sono poste obiettivi ambiziosi circa velocizzazione ed efficienza del processo, in attuazione del PNRR.

Quanto al processo civile, il disposition time, ossia l’indicatore di durata che misura il rapporto tra i processi pendenti e quelli definiti, segna nel primo semestre 2023 (rispetto al 2019) un calo del 19,2% nel settore civile e del 29,0% in quello penale.

Un andamento che, nella sua oggettività, possiamo considerare certamente positivo, seppur non direttamente ed esclusivamente ricollegabile a riforme che, nel primo semestre del 2023, erano appena entrate in vigore e che ancora oggi non possono dirsi pienamente attuate: mancano, infatti, decine di decreti attuativi fra i quali, fondamentali, possiamo annoverare quello in materia funzionamento dei centri per la giustizia riparativa o quello materia di determinazione delle piante organiche del personale amministrativo dei Tribunali per le persone, per i minorenni, e per le famiglie e delle procure della Repubblica.

In materia civile l’efficienza del processo pare, infatti, coincidere non tanto con un ampliamento dell’offerta di giustizia quanto, piuttosto, con una diminuzione della correlativa domanda. Ciò sebbene una domanda di giustizia numericamente importante e ben gestita sia un dato positivo per uno Stato per i benefici che porta in termini di tutela dei diritti dei cittadini.

La velocizzazione del sistema giustizia non sta, del resto, per molti versi garantendo – ad un anno di applicazione della riforma – una migliore operatività di tale sistema, anche in termini di tutela delle garanzie costituzionali.

Se, infatti, da un lato appare centrale il tema della ragionevole durata del processo, dall’altra come statuito della stessa Cassazione, ciò non deve portare a “eludere distinte norme processuali improntate alla realizzazione degli altri valori di cui pure si sostanzia il processo equo: e tali sono per l’appunto il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto a un giudizio nel quale le parti siano poste in condizioni di interloquire con compiutezza nelle vari fasi in cui esso si articola”.

Sono, a tal proposito, numerose le criticità presenti e riscontrate nella riforma del processo civile. Tra le tante, possiamo certamente annoverare la riduzione al ricorso all’udienza orale tradizionale in favore della trattazione scritta, che toglie centralità ed importanza al confronto con il magistrato e con i colleghi; altrettanto critici sono parsi gli insistiti interventi del Legislatore sul principio della libertà della forma degli atti processuali, concretizzati in decreti attuativi che l’Avvocatura ha dovuto arginare per evitare che tale tipizzazione assurgesse a condizione della tutela dei diritti, determinando l’inammissibilità dell’azione giudiziale; critico continua parimenti ad apparire l’ampliamento della competenza del Giudice di Pace che, in assenza di un uguale ampliamento dell’organico degli uffici e dell’implementazione di adeguati strumenti telematici, sta provocando l’accumulo di un arretrato molto importante, in diretto contrasto con gli obiettivi del PNRR.

La strada maestra per superare queste criticità e le tante altre che le recenti riforme presentano resta quella di credere e investire seriamente nella Giustizia, nella sua gestione manageriale e nell’ampliamento delle piante organiche degli Uffici, a partire da un aumento del numero dei magistrati, vero e unico strumento per affrontare una domanda di tutela che merita serietà e attenta valutazione.

A tal riguardo il ricorso massiccio allo strumento dell’Ufficio per il processo non è da solo sufficiente. Per quanto efficiente, infatti, l’Ufficio per il processo è esposto ad un elevato turn over con un’importante spesa di tempo in formazione continua e specialistica su nuove risorse che, in assenza di una stabilizzazione del rapporto, semplicemente vanno altrove. Occorre ripensare l’Ufficio per il processo perché diventi uno strumento di strutturale e stabile ausilio per il magistrato, ma non resti l’unica effimera misura per ridare efficienza al sistema.

In ambito penale, ben note sono le criticità della riforma che allo stato non sembrano aver trovato soluzione, senza però mancare di considerare l’impegno fattivamente prestato, a tal riguardo, dal Ministero di Giustizia che, di concerto con l’Avvocatura e la Magistratura, sta cercando di migliorare l’impianto normativo del processo penale telematico, apportando quei correttivi idonei a consentire un graduale passaggio verso nuove modalità di deposito degli atti giudiziari.

La vera e insuperata criticità della realtà giudiziaria italiana resta, invece, quella del sistema penitenziario, che rappresenta un vero e proprio motivo di emergenza sociale, così come fotografato dall’AIGA e dal suo Osservatorio Nazionale Aiga Carceri (ONAC) nel “Libro Bianco sulle Carceri”.

I numeri sono a dir poco allarmanti: 152 suicidi in soli ventiquattro mesi, oltre 11.000 detenuti in più rispetto alla capienza delle nostre carceri, con una costante e inarrestabile progressione di tale sovraffollamento.

Questo quadro desolante impone interventi strutturali e non più procrastinabili.

È necessaria una integrale revisione dell’Ordinamento Penitenziario in senso strettamente inteso e un importante ripensamento delle norme, sostanziali e processuali, che incidono sulla pena e sulla sua esecuzione in carcere. È ugualmente necessario colmare quanto prima le carenze organiche nei ruoli che dovrebbero garantire la più efficiente amministrazione delle strutture penitenziarie, delle attività da svolgere al loro interno, dei rapporti con l’esterno e di tutto ciò che inerisce alle prerogative assistenziali, rieducative e risocializzante che l’ordinamento dovrebbero sempre ispirare. Occorrono direttori, magistrati di sorveglianza, educatori, assistenti sociali, personale sanitario, personale di Polizia Penitenziaria. È necessario che lo Stato garantisca dignità all’esecuzione della pena e rieducazione sociale al soggetto detenuto. Oggi ciò non accade. Oggi l’esecuzione della pena in carcere, per le condizioni nelle quali avviene, non rispetta le finalità ad essa riconosciute dalla nostra Carta Costituzionale e non riconosce al detenuto concrete possibilità di reinserimento sociale e di esiti rieducativi. Il superamento della crisi carceraria deve essere una priorità per lo Stato, che è oggi chiamato ad individuare politiche efficaci e idonee ad intervenire su un tema complesso ma a tal punto importante da costituire lo specchio del “grado di civiltà di un Paese”.

Agire su tutti questi aspetti. Reagire con forza e determinazione a quelle iniquità e barriere che rendono per tanti Colleghi ben più difficoltoso lo svolgimento della professione forense. Realizzare a pieno lo Stato di diritto. Contribuire al reciproco e paritario sviluppo del rapporto con gli altri operatori del diritto. Questi gli auguri e gli auspici della Giovane Avvocatura per l’anno giudiziario che ci aspetta.

Genova, 27 gennaio 2024.

Avv. Leda Rita Corrado
(Presidente AIGA Genova)

AIGA Genova_discorso inaugurazione anno giudiziario 2024

L’intervento di AIGA Genova è stato pubblicato sul sito della Corte di Appello di Genova:

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